In Francia e nel resto del mondo, storici o specialisti dell’"Olocausto" non sanno più cosa rispondere agli argomenti dei revisionisti. D’altra parte, nel mio caso, mai, dal 1978, cioè in trentasette anni, la giustizia del mio paese, instancabilmente pregata da pie associazioni di condannarmi in merito, è stata capace di trovare nei miei scritti o nelle mie dichiarazioni la minima traccia che sia di
leggerezza, di
negligenza, d’
ignoranza deliberata, di
falso, di
falsificazione o di
menzogna. I miei avversari, quand’anche fossero ricchi e potenti, non hanno mai potuto ottenere dai nostri magistrati che mi condannassero nel merito stesso delle conclusioni alle quali sono giunte le mie ricerche, che per più di mezzo secolo vertevano su ciò che si chiamano comunemente "il genocidio degli ebrei", "le camere a gas naziste" e "i sei milioni (o poco ci manca) di vittime assassinate dal III° Reich". Al massimo, al termine degli innumerevoli processi hanno ottenuto che io fossi respinto o condannato essenzialmente 1) sia per malevolenza, supposta e non dimostrata, nei confronti degli ebrei, 2) sia per infrazione alla
gayssottine (legge Fabius-Gayssot o legge Faurisson, legislazione di circostanza diretta specificatamente alle conclusioni delle mie ricerche), 3) sia in virtù della "
buona fede" (sic) accordata a personaggi come Léon Poliakov o Robert Badinter, sebbene i magistrati stessi li avessero ritenuti in fallo...
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